Un team internazionale, guidato dalla ricercatrice Anna de Graaff del Max Planck Institute for Astronomy e con la partecipazione di ricercatori della Penn State University, ha recentemente pubblicato uno studio che propone una nuova interpretazione di alcuni misteriosi oggetti osservati dal telescopio spaziale James Webb nell’Universo primordiale. Si tratta dei cosiddetti “little red dots”, minuscoli punti rossi comparsi nei primi dati del Webb e che, da due anni, hanno messo in crisi i modelli più consolidati sulla formazione delle galassie.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics, suggerisce che questi oggetti non siano galassie estremamente mature, ma una classe ipotetica di corpi celesti: le Black Hole Stars (BH*). Si tratterebbe di enormi sfere di gas alimentate da un buco nero supermassiccio al centro, capaci di emettere luce non grazie alla fusione nucleare, ma all’energia sprigionata dall’accrescimento di materia. Una scoperta che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dell’Universo primordiale e offrire una spiegazione alla rapida formazione dei buchi neri supermassicci che oggi popolano i nuclei galattici.
Questo è un contenuto dedicato agli iscritti a Orbit